mercoledì 11 giugno 2008
La Tolleranza come regola
La libertà d'espressione è un valore umano e nella sua stessa libertà di dire, disumano. Le opinioni razziste, xenofobe, sessiste, sadiche, astiose, sprezzanti hanno lo stesso diritto di esprimersi dei nazionalismi, delle credenze religiose, delle ideologie settarie dei clan corporativisti che le incoraggiano apertamente o subdolamente secondo le fluttuazioni dell'ignominia demagogica. Le leggi che le reprimono, quale, in Francia, la legge Gaussot del 1992, attaccano il "puerile rovescio delle cose" senza nemmeno sfiorare le cause.
Esorcizzando il male anziché prevenirlo e guarirlo, sostituiscono la sanzione all'istruzione. Quelle che devono essere condannate non sono le idee, ma le vie di fatto. Oggetto d'incriminazione non devono essere i discorsi ignominiosi del populismo - altrimenti bisognerebbe denunciare anche la loro subdola infiltrazione e la loro presenza camuffata nelle dichiarazioni demagogiche della politica clientelare e benpensante -, ma le violenze contro beni e persone, perpetrate dai fautori della barbarie.
Il buonsenso dimostra che è incoerente proibire Mein Kampf di Hitler, Bagatelle per un massacro di Céline, i Protocolli dei savi anziani di Sion, o le opere revisioniste, e, d'altro canto, tollerare le frasi misogine di Paolo di Tarso e del Corano, le diatribe antisemite di San Gerolamo e Lutero, un libro farcito d'infamie come la Bibbia, l'esibizione compiaciuta delle violenze che costituiscono la materia ordinaria dell'informazione, l'affissione onnipresente della menzogna pubblicitaria e le tante falsità storiche ratificate dalla storia ufficiale.
È meglio non dimentircarlo: una volta instaurata, la censura non conosce limiti, perché la purificazione etica si nutre della corruzione da essa denunciata.
Non si combattono e non si scoraggiano l'ottusità e l'ignominia vietando loro di esprimersi: la miglior critica di uno stato di fatto deplorevole consiste nel creare la situazione che vi pone rimedio. L'ottusità, l'infamia, il pensiero ignobile sono il pus di una sensibilità ferita.
Impedire che scorra significa infettare la ferita anziché diagnosticarne le cause al fine di guarirla. Se non vogliamo che un'aberrazione finisca con l'infettare il tessuto sociale come un tumore maligno, dobbiamo riconoscerla per quello che è: il sintomo di un male nell'individuo e nella società.
Il sintomo non è condannabile; condannabile è la nostra poca prontezza nello sradicare le condizoni che propagano il prurito, l'ascesso, la peste. Al desiderio di "schiacciare l'infame" è preferibile nutrire il desiderio di vivere meglio... ovvero più umanamente.
La libertà di parola non fa altro che esprimere, al meglio e più di frequente al peggio, ciò che è nascosto nel corpo e nella coscienza dell'uomo, snaturato da secoli di disumanità. Nessuna ignominia deve restare indicibile, pena il radicarsi ancor più di un comportamento solipsistico di cui essa corrobora le cause.
Oggi possiamo constatare come le ideologie inclini a professare il disprezzo di sé e degli altri si espongano al ridicolo via via che lo spirito di clan, di tribù, di nazione, il razzismo, la xenofobia, la misogninia, l'avarizia, l'autoritarismo, l'istinto di appropriazione e di predazione, il desiderio di avere e di apparire più che di essere rifluiscono lentamente verso il passato.
L'infamia con cui vengono marchiate le rinsalda nella loro indegnità e nella loro melensa nostalgia: non c'è nulla che rafforzi tanto l'ottusità quanto il rendere ragione mediante l'esacrazone e la polemica. Se tante cattive reputazioni sono dovute soltanto al disprezzo e all'odio, è perché esiste, tra chi disprezza e chi è disprezzato, una segreta e reciproca attrazione.
La proibizione pungola la trasgressione. Ciò che è represso suscita la voglia di "sfogo" e gli inganni del risentimento. Accanirsi contro l'ottusità e l'ignominia porta soltanto a renderle più subdole e più odiose. Schiacciare l'infamia la risuscita sotto un'altra forma; anziché favorire la felicità individuale, ne cancella perfino il ricordo.
Il modo peggiore di condannare certe idee è quello di criminalizzarle. Un crimine è un crimine e un'opinione non è un crimine, quale che sia l'influenza che le si imputa. Vietare un discorso col pretesto che può essere nocivo o scandaloso significa disprezzare coloro che lo ascoltano e ritenerli incapaci di respingerlo come aberrante o ignobile. Significa difatti, secondo il metodo del clientelismo politico e consumistico, convincerli implicitamente che hanno bisogno di una guida, di un guru, di un maestro.
Le opinioni sono un pretesto, non una causa.
Le idee maligne muoiono del loro stesso veleno. Lasciate che si esprimano e si condanneranno da sole quando, sull'esempio della libertà che gli concederete, i costumi, anziché ritrarsi timorosamente dietro i bastioni di una protezione illusoria, si apriranno a una maggior umanità, a una maggior intelligenza, a una comprensione più grande che, togliendo i divieti, scoraggerà la loro trasgressione.
Non c'é simbolo, per odioso che sia, che gli atti del vivente non abbiamo il potere di neutralizzare. È assurdo vietare di portare il velo a delle giovani assoggettate all'islam. Imposto dalla famiglia, susciterà la ribellione, rivendicato come l'espressione di un'identità religiosa, diventerà, quando esse scopriranno la libertà dell'amore e della donna, un fronzolo simile alla veletta o alla mantiglia che la buona creanza cristiana esigeva dalle fedeli nell'epoca in cui la Chiesa tiranneggiava ancora le menti e i corpi, or non è molto.
Nessuna verità merita che ci si prostri di fronte a essa. Ogni essere umano ha il diritto di criticare e contraddire ciò che sembra una certezza o passa per un'evidenza scientificamente provata. Le speculazioni più folli, le asserzioni più deliranti seminano a modo loro il campo delle verità future e impediscono di ergere ad autorità assoluta la verità di un'epoca.
Nella fantasia più sbrigliata, nella menzogna più sfrontata c'e' una scintilla di vita che può ravvivare tutti i fuochi del possibile. Il fiorire delle eccentricità sta a ricordare che il centro della vita è ovunque e si schiude su una varietà infinita di scelte.
Una verità imposta con la forza è una verità che si corrompe. Non avendo tutti la medesima percezione della realtà, è bene che ci prendiamo la libertà di esprimerla e di comunicarla nella sua diversità, e in particolare al di fuori della prospettiva riduttrice che le mentalità impregnate dagli imperativi economici tendono a imporre come visione unica e razionale del reale. Rifiutare le tesi di Reich sull'orgone o di Benveniste sulla memoria dell'acqua non scusa affatto la mascalzonata di coloro che non hanno esitato a cacciarli dal loro laboratorio e a perseguitarli.
Una verità imposta si vieta umanamente d'esser vera. Ogni preconcetto dato per eterno o incorruttibile esala l'odore fetido di Dio e della tirannia.
D'altronde, il più miserabile dei criminali ha diritto a un avvocato che lo difenda, e chi rifiuterebbe la parola a un idiota, a un visionario, a un bugiardo psicopatico, a un Erostrato che incendia con i suoi discorsi i templi dell'evidenza?
Raul Vaneigem, "Nulla è sacro, tutto si può dire", 2003, edizione Ponte delle grazie
Sulla scorta di questa "arte" di pensare la libertà di espressione è possibile scoprire il senso della tolleranza. Applicata alla libera espressione di idee, fedi e costumi (anche i più esecrati come quelli dei Rom e della prostituzione) la tolleranza alchemica incoraggia la diversità ad omologarsi all'altra diversità, non meno esecrabile, dei benpensanti e dei moralisti.
Ad esempio:
1. La prostituzione dovrebbe essere omologata all'attività del commercio esercitata in opportuni "piazze", come le "zone industriali", e regolata dalle leggi di occupazione del suolo e delle autorizzazioni del caso. Ognuno è libero di prostituirsi, ma se è fonte di guadagno, paga le imposte e le tasse di occupazione del suolo come i commercianti.
La tolleranza alchemica omologa nei fatti e discrimina nei contenuti verbali di "coscienza". Non è possibile utilizzare "termini" di comprensione, compassione o commiserazione in nessun caso.
Tollerare la libertà di espressione significa, per riflesso, che ogni individuo, anche il più ignorante e debole, è consapevole delle proprie azioni e capace di valutare la propria condizione, nel bene e nel male.
Se non si riconosce l'esistenza di una autocoscienza critica comune a tutti gli esseri, per cui anche il soggetto che viene sfruttato da terzi è libero di decidere e autodeterminarsi in tal senso, è impossibile comprendere il significato di "omologazione sociale" nella tolleranza.
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